Training Autogeno in psicologia dello sport
Training Autogeno in psicologia dello sport
Ecco a voi il secondo dei mie articoli pubblicati su BioCorrendo, in cui parlò del training autogeno applicato alla psicologia dello sport. Nei precedenti articoli di questa rubrica abbiamo parlato delle tecniche di mental training, cioè tutte quelle tecniche che portano allo sviluppo di abilità mentali per migliorare le prestazioni e quindi la soddisfazione ed il divertimento. Tra le principali aree su cui si può intervenite con queste tecniche ci sono: pianificazione di obiettivi, motivazione, visualizzazioni, dialogo interno, attenzione, concentrazione e rilassamento. Oggi mi concentrerò su quest’ultima area e parlerò in particolare di una tecnica che può essere utile per favorire il rilassamento, ma porta anche molti altri benefici: il Training Autogeno.
Cos'è il Training Autogeno?
Il Training Autogeno è una tecnica di rilassamento e di autoregolazione delle funzioni corporee involontarie. Per gli atleti è fondamentale apprendere tecniche di rilassamento poiché sono spesso esposti a momenti di ansia e tensione che possono portare a tensioni muscolari, difficoltà di concentrazione, pensieri disfunzionali (cioè tutti quei pensieri che portano ad un andamento negativo delle performance sportive) ed in generale un calo nelle prestazioni.
Il termine autogeno deriva dal greco auto-genos, cioè che si genera da sé, ciò vuol dire che il corpo è in grado di auto-regolarsi, ma perché questo avvenga è fondamentale prestargli attenzione. Training invece vuol dire allenamento, la pratica è infatti fondamentale per apprendere adeguatamente questa tecnica.
Il Training Autogeno fu ideato da Schultz nel ‘900 a partire dall’ipnosi, che lui utilizzava nella sua pratica clinica, ma criticava per la passività del paziente e per la dipendenza che si creava con il medico. Schultz, inoltre, conosceva la pratica dello yoga, fatto inconsueto per l’epoca, cercò quindi di sviluppare un metodo che unisse l’efficacia di ipnosi e yoga superandone i limiti. Cercava una tecnica facile da imparare e che, una volta appresa, fosse applicabile in autonomia dal paziente. Fu così che nacque il training autogeno.
In Italia una delle prime applicazioni di questa tecnica nello sport fu fatta come preparazione psicofisica di atleti dello scii negli anni ’70 con la cosiddetta “Valanga Azzurra”, nel ’74 infatti 5 atleti italiani che usavano questa tecnica occuparono i primi 5 posti nella classifica del gigante. In seguito il Training Autogeno si è diffuso per la preparazione mentale in numerose discipline sportive.
Come può essere utile il training autogeno?
Può essere utile per diversi aspetti come gestire l’ansia prima della gara, gestire la rabbia, aumentare le capacità cognitive; in particolare la memoria e la concentrazione, riducendo i pensieri intrusivi durante la gara e mantenendo l’attenzione focalizzata. È utile anche per ridurre lo stato di tensione muscolare, favorire il recupero dopo un allenamento, migliorare il riposo notturno e aumentare l’autocontrollo, gestire il dolore, sviluppare maggiore fiducia in sé e superare momenti di difficoltà grazie alle visualizzazioni.
L’atleta dovrebbe utilizzare questa tecnica il più possibile in momenti di tranquillità per apprenderla al meglio, poi dovrà imparare ad applicarla anche a momenti diversi adeguandosi all’ambiente e alla situazione. È bene utilizzare il Training autogeno il più possibile in campo nei momenti di pausa per recuperare le energie o alla fine dell’allenamento, per favorire il recupero soprattutto nei periodi di allenamento più intenso. Può essere utilizzato anche prima della gara, l’ideale è farlo un’ora prima della gara per ridurre la tensione, ma non rilassarsi troppo, altrimenti l’atleta si disattiva, nelle gare che prevedono turni in cui si alternano diversi atleti si possono applicare alcune parti del Training nei momenti di attesa e infine nella gare molto lunghe, come la maratona o la marcia, si possono usare l’autodialogo positivo per superare i momenti di difficoltà o le visualizzazioni, cioè delle immagini costruite ad hoc che vengono evocate nella mente mentre si è in uno stato di rilassamento e possono avere diversi fini, come portare al recupero di energie o alla distensione, aiutare a memorizzare percorsi, strategie di gara e gesti tecnici o aumentare la motivazione e l’autoefficacia.
Il Training autogeno in pratica
Vediamo ora come si applica nella pratica il training autogeno; è necessario prima di tutto creare una situazione di calma con condizioni ambientali di tranquillità (silenzio, luce soffusa, temperatura ideale), assumendo la posizione più idonea che permetta il rilassamento muscolare. A seconda delle caratteristiche fisiche della persona si sceglierà la posizione più adatta, sdraiata, in poltrona o la cosiddetta posizione del cocchiere, che prende il nome dalla posizione che assumevano i cocchieri per rilassarsi durante i lunghi turni di lavoro. Questa posizione consiste nello stare seduto su una sedia o uno sgabello, con i gomiti sulle cosce e la schiena leggermente inarcata; inizialmente potrebbe sembrare scomoda, ma in realtà è utilizzata molto spesso perché non richiede spazi e supporti particolari quindi può essere impiegata in qualsiasi momento.
Dopo aver assunto la posizione preferita si devono fare 3 respiri diaframmatici, che consistono nell’inspirare lentamente gonfiando la pancia e poi espirare lentamente. Si chiudono gli occhi e si rilassano i muscoli, aiutandosi se necessario con il body scanning, cioè ponendo l’attenzione su una parte del corpo alla volta e su un gruppo di muscoli partendo dalla testa fino ai piedi (o viceversa). Dopo questa fase di preparazione si iniziano i 6 esercizi del Training Autogeno, ognuno dei quali lavora su uno degli apparati che si attivano in situazioni di stress:
- La pesantezza: è la sensazione collegata alla distensione muscolare- Il calore: può provocare una variazione della temperature e influisce sulle oscillazioni vasomotorie- Il cuore: porta l’attenzione sul battito cardiaco e aiuta nella sua regolazione- Il respiro: porta l’attenzione sulla respirazione e aiuta a regolarla- Il plesso solare: porta la concentrazione su questa zona (posta circa tra l’ombelico e le costole) e favorisce una sensazione di calore che aiuta a rilassare ulteriormente la muscolatura interna- La fronte fresca: provoca vasocostrizione a livello del capo dando una sensazione di leggerezza.
La creazione di situazioni di tranquillità e l’assunzione della posizione ideale sono importanti soprattutto nei periodi iniziali di apprendimento della tecnica, che una volta appresa potrà essere utilizzata in qualunque condizione.
Per apprendere questa tecnica sono sufficienti 8-9 incontri, quando la tecnica sarà padroneggiata si potranno utilizzare anche delle visualizzazioni che possono aiutare a gestire specifici momenti di difficoltà che l’atleta ha vissuto o teme di incontrare.
I benefici del training autogeno sono quindi mentali e fisici, tra i suoi effetti principali ci sono: il rilassamento fisico e mentale che si associa ad un più rapido recupero post allenamento; migliorare la concentrazione e l’attenzione, aspetti fondamentali per favorire l’apprendimento di nuove tecniche e strategie di gioco e favorire la consapevolezza del proprio corpo.
Nel prossimo articolo di questa rubrica si evidenzierà ancora di più l’importanza del rapporto tra corpo e mente e si parlerà di running e in particolare dell’atleta bio-psico-sociale, in cui si integrano appunto i livelli biologico, psicologico e sociale.
Valentina Bassi – Verona (VR) – bassi.psicologa@gmail.com
Psicologa
Psicologa dello sport
Specializzanda in psicoterapia
Operatrice di training autogeno
Bibliografia:
- Baruzzo R., Equilibrio personale e Training autogeno (2014). Edizioni Webster, Padova.- Weinberg R.S. & Gould D. (2015). Foundation of Sport and Exercise Psychology (6th ed.). Human Kinetics.